Buonasera a tutti gli intervenuti,

quella di stasera non è una seduta consiliare come le altre. Celebriamo il ritorno a Lucca di Mario Andretti attraverso il conferimento della cittadinanza onoraria della città, la massima onorificenza del Comune. È veramente lunghissimo l’elenco dei premi che Andretti ha ottenuto nella sua carriera, ma, e lo dico senza nulla togliere chiaramente agli straordinari successi da lui conseguiti in cinquant’anni di attività sportiva, la cittadinanza onoraria rappresenta qualcosa di diverso, qualcosa di unico. Intanto viene assegnata non frequentemente: comporta una decisione che deve essere ben ponderata e che deve essere supportata da un ampio consenso dell’assemblea cittadina. Poi, ed è l’aspetto principale, rappresenta un gesto di amicizia e di stima verso una persona che non fa parte della comunità cittadina, perché vive altrove, ma che si vuole accogliere, seppur simbolicamente, tra i suoi appartenenti. L’ingresso nella comunità cittadina, in questo caso, viene decretato da tutta la città, per il tramite del Consiglio comunale, i cui componenti rappresentano la volontà dell’intera collettività. Ottenere la cittadinanza onoraria non comporta arrivare primi in una competizione, significa aver dimostrato nella vita particolari meriti, per i quali la città rende omaggio alla persona insignita dell’onorificenza ed è un po’ come se l’insieme dei cittadini del Comune, rivolgendosi in questo caso a Mario Andretti, dicesse: «Sei dei nostri, ti vogliamo con noi».

È bello pensare che una persona che è stata accolta nella nostra città come profugo nel 1948, dopo quasi settanta anni torni a Lucca e venga ricevuto con i massimi onori, nell’aula consiliare dove i rappresentanti dei cittadini lucchesi assumono le principali scelte per la comunità.

Proprio da questo banco, oggi assegnato al presidente del Consiglio comunale, il 3 marzo 1947, un mese dopo la sottoscrizione della Pace di Parigi con la quale l’Istria, Fiume e Zara, i territori del confine orientale italiano, da secoli popolati da italiani, e annessi al Regno d’Italia dopo la fine della prima guerra mondiale, venivano ceduti alla Jugoslavia, il sindaco Ferdinando Martini relazionava all’assemblea circa la situazione dei primi esuli giunti a Lucca. Si trattava allora, come indicato dal sindaco del tempo, di «272 persone provenienti da Pola e da altre zone della Venezia Giulia». Martini certo non poteva ancora sapere che altre 1.000 persone sarebbero state accolte nella nostra città nei mesi e negli anni successivi, provenienti da tutti i territori italiani ceduti. Egli afferma, nella seduta del 1947,

come sia necessario mettere a disposizione di questi nostri fratelli, così duramente provati dalla sventura, degli alloggi adatti ad accogliere intere famiglie ed evitare che abbiano a continuare a vivere una vita in comune in ambienti capaci di raccogliere più e più persone di differente età, sesso e condizioni spesse volte anche fra loro sconosciute con evidentissimo scapito dell’igiene, della morale e della quieta e tranquillità familiare.

Oggi, come ho detto in apertura di questo intervento, proprio nel settore dell’emiciclo dal quale il sindaco Martini pronunciava questo discorso, siede uno di quei profughi per riceve la cittadinanza onoraria. Mario Andretti diviene cittadino di Lucca, o meglio, torna a essere un cittadino di Lucca, perché nella nostra città ha vissuto buona parte della sua infanzia. È una storia affascinante la sua. È la storia di un grande sogno che si riesce a realizzare, nonostante la difficile situazione di partenza. Io immagino la storia di Mario come un libro suddiviso in tre capitoli che hanno come filo conduttore il sogno di un bambino, che si materializza attraverso tanta caparbietà e passione profuse dal protagonista di questa storia. Bene, Lucca è il secondo capitolo della vita di Mario, dopo il primo di Montona dove ha trascorso gli anni della prima infanzia dalla nascita, nel 1940, al giorno della partenza per raggiungere la nostra città, nel 1948.

Mi piace pensare, ed è un onore per tutta la città, che proprio a Lucca Mario Andretti abbia iniziato a coltivare la sua più grande passione, quella per i motori e per le corse automobilistiche, quando, da bambino, gareggiava in particolari competizioni sperimentando l’ebbrezza della velocità, insieme con altri piccoli ospiti del campo di raccolta profughi allestito nei locali dell’ex Real Collegio. Il teatro di queste gare non era ancora quello di Indianapolis, o quelli di Daytona, di Sebring, di Monza, di Zolder, di Montecarlo. Allora la sua vettura non era ancora una Lotus, una Ferrari o un’Alfa Romeo. Il suo circuito era la discesa delle Mura urbane dietro al basilica di San Frediano e la sua monoposto era un piccolo carretto di legno con quattro cuscinetti a sfera al posto delle ruote e una cordicella per volano. Il gioco consisteva nel lanciarsi a tutta velocità dall’alto delle Mura e scendere quella discesa per vedere chi arrivava primo al traguardo, collocato all’altezza del campanile di San Frediano.

All’epoca non era ancora il campione pluridecorato di Formula Indy e di Formula Uno che ha fatto scaldare i cuori di tre generazioni di appassionati del motorsport. Allora era semplicemente il piccolo Mario che sognava di eguagliare i suoi miti Manuel Fangio e, soprattutto, Alberto Ascari. E i sogni sono la cosa più bella che un bambino possa avere. I sogni poi consentono di mettere da parte il dolore e le ristrettezze derivate dall’aver dovuto abbandonare la propria terra, la propria casa, i propri amici, i propri parenti. I sogni danno la possibilità di estraniarsi, anche se per alcuni istanti, da una dura realtà caratterizzata ad esempio dal vivere nelle grandi stanze del Real Collegio in cui i nuclei familiari sono separati li uni dagli altri alla meglio, condividendo i servizi igienici, gli spazi per il tempo libero, e dove si fanno lunghe code in attesa di ricevere un pasto caldo. Ma a volte i sogni si realizzano ed è il caso di Mario Andretti. E sempre a Lucca inizia, negli anni, a prendere dimestichezza con i motori, frequentando l’istituto professionale “Giorgi” e andando a curiosare nell’officina Andreini in via della Cavallerizza e nell’autorimessa Biagini Seggiolini di piazza del Collegio.

Le sofferenze e le privazioni, l’impossibilità di mettere da parte i tristi ricordi delle persecuzioni subite dalla comunità italiana dei territori del confine orientale, gli incubi legati all’ombra delle foibe, sono tutti stati d’animo che Mario condivide con gli altri circa 1.200 esuli che raggiungono Lucca a partire dal 1947, così come i sogni e le speranze di una vita migliore. Ecco, insieme alla straordinaria storia di Mario Andretti, oggi vorrei ricordare le tante storie, piccole o grandi che siano, di uomini e donne, bambini e anziani che un giorno all’improvviso si trovarono a vivere in uno stato straniero e, sia per amore nei confronti dell’Italia, la propria patria e la patria dei loro antenati, sia per paura che le violenze di massa subite dalle comunità italiane a partire dall’occupazione delle loro terre da parte delle forze di Tito potessero continuare anche dopo la conclusione della guerra, decisero di lasciare tutto ciò che avevano, di esercitare il diritto d’opzione che gli consentiva di venire a vivere nel territorio dello stato italiano, di partire per una meta sconosciuta. Ma sempre nella speranza che i loro sogni potessero realizzarsi.

Inserirsi in un contesto cittadino come quello di Lucca, duramente provato dal lungo conflitto bellico, in cui i lucchesi cercano di risollevarsi con molta difficoltà, non doveva essere semplice. Qui gli esuli che arrivano trovano tanta miseria, tante persone che come loro hanno necessità urgenti come reperire un alloggio, trovare qualcosa da mangiare, cercare un lavoro per provvedere al sostentamento della propria famiglia. Ma con determinazione ed estrema dignità i componenti la comunità degli esuli seppero integrarsi perfettamente.

Anche papà Gigi e mamma Rina, i genitori di Mario, hanno un sogno, che è comune a tutti i genitori: quello di garantire un futuro sereno per i propri figli. Ma il lavoro manca. E proprio cercando di mettere in pratica il loro sogno, non esitano a partire di nuovo per un’altra destinazione. È il 1955, e dopo sette anni da lucchesi, Mario e la sua famiglia partono alla volta degli Stati Uniti. Inizia un nuovo capitolo della sua vita. Il terzo dopo gli anni trascorsi a Montona e quelli a Lucca. Giunto in Pennsylvania, nella cittadina di Nazareth, comincia a diventare realtà quello che fino a quel momento era stato semplicemente il sogno di un bambino. Da lì a poco inizia a correre insieme al fratello gemello Aldo in gare locali a bordo di una vettura da loro stessi elaborata. Negli anni ’60 arrivano i primi prestigiosi successi nella classe Prototipi e in Formula Indy, vince leggendarie corse come la Indianapolis 500, la Daytona 500 e la 12 Ore di Sebring, e ottiene il titolo nazionale di Indy Car per ben tre volte.

Quando Mario torna a Lucca per la prima volta nel 1966, dopo aver disputato la 24 Ore di Le Mans, è già un campione affermato a livello internazionale. A Lucca rivede tanti amici con cui ha condiviso gli anni di permanenza nel campo profughi del Real Collegio, tanti esuli che come lui ce l’hanno fatta a rialzarsi, si sono fatti una famiglia, hanno un lavoro.

Altri importanti traguardi lo attendono vittorioso. Nel 1968 esordisce in Formula Uno e nel 1970 ottiene il suo primo podio al gran premio di Spagna classificandosi al terzo posto. Ma la vera consacrazione arriva quando approda alla scuderia Lotus. È il 1976 e in quell’anno vince il suo primo gran premio in Giappone e l’anno successivo quelli degli Stati Uniti, di Spagna, di Francia e d’Italia. E poi arriva il 1978. Guida una monoposto potentissima, la Lotus 79, con la quale si laurea campione del mondo di Formula Uno a Monza, dopo aver vinto i gran premi di Argentina, Belgio, Spagna, Francia, Germania e Olanda. Con questo successo diviene il primo pilota della storia ad aver vinto sia il campionato di Formula Indy che quello di Formula Uno.

Ma non si ferma qui. Continua a correre fino al 2000 ottenendo ancora prestigiosi successi. Nel 1984 vince per la quarta volta il titolo di Formula Indy e, quando nel 1993 arriva primo al traguardo della Phoenix 200, all’età di 53 anni diviene il più anziano pilota a vincere una gara di Formula Indy.

Ciascuno dei tre capitoli della sua storia è stato determinante per il conferimento della cittadinanza onoraria. Che viene assegnata tanto al campione automobilistico, capace di imprese leggendarie e per molti aspetti tutt’oggi ancora ineguagliate, quanto all’esule istriano che è riuscito a superare le difficoltà affermandosi nella vita. Mario Andretti, infatti, come si legge nelle motivazioni della pergamena che dopo gli verrà consegnata: “con i suoi successi in campo sportivo, è divenuto il simbolo del riscatto della comunità degli esuli istriani, fiumani e dalmati accolti a Lucca a partire dal 1947, i cui appartenenti, affrontando innumerevoli difficoltà, seppero costruirsi una nuova vita inserendosi perfettamente nel tessuto cittadino”.

La cittadinanza onoraria ad Andretti deve quindi essere interpretata simbolicamente come un riconoscimento a tutti i 1.239 esuli che superando sofferenze e privazioni, riuscirono con determinazione a rifarsi una nuova vita nella nostra città. e ancor più significativo è il fatto che la cerimonia di questa sera avvenga alla vigilia delle celebrazioni del Giorno del Ricordo istituito nel 2004 al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani che furono vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale. Un Giorno del Ricordo particolarmente significativo quello di quest’anno, e colgo l’occasione di invitare tutti voi alla celebrazione di domani che si svolgerà a partire dalle 16,30 al Real Collegio, in quanto con la presenza di Mario Andretti che effettuerà l’intervento principale, ma anche attraverso l’intervento musicale di Simone Soldati, uno dei pianisti lucchesi maggiormente affermato e anche lui figlio di esuli istriani, dedicheremo la celebrazione alla speranza che deve sempre essere presente in ogni situazione difficile e dolorosa, la dimostrazione che i sogni servono, hanno un grande valore e che se si coltivano con passione ed entusiasmo spesso si realizzano. Anche se i presupposti potrebbero far pensare l’opposto.

È stata una storia, quella dell’esodo istriano, fiumano e dalmata, per troppi anni colpevolmente taciuta. E per molti aspetti ancora oggi non del tutto conosciuta dalla generalità della popolazione. Se da un lato questo è un altro indicatore di come così tante persone giunte nella nostra città si siano integrate egregiamente nel contesto cittadino pur rimanendo orgogliose delle loro origini, rimboccandosi le maniche e affrontando con dignità la nuova situazione nella quale si trovavano a vivere, dall’altro lato questa non totale conoscenza della loro esperienza di vita non può che rattristarci. La presenza di una leggenda dello sport come Mario in questi giorni a Lucca, è anche un modo per avvicinare semplici appassionati di automobilismo alla storia degli esuli. Lo ringrazio quindi per aver risposto positivamente al mio invito a venire a Lucca, appositamente per ricevere la cittadinanza onoraria e presenziare alla celebrazione del Giorno del Ricordo.

Apro quindi ufficialmente la cerimonia di conferimento della cittadinanza onoraria a Mario Andretti.

Un ringraziamento a tutti voi per essere intervenuti numerosi in questa seduta straordinaria del Consiglio comunale.

Il presidente del Consiglio comunale

Matteo Garzella

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