Una ricerca documentata di numeri e date, ma anche un racconto evocativo di esistenze segnate e di incontri, che restituisce alla stessa comunità lucchese una parte della sua storia recente più profonda. Un altro passo verso il superamento di quella sorta di “amnesia” che ha accomunato per decenni un po’ tutto il paese nella dimenticanza e nella mancanza di attenzione ed empatia verso la storia e il dramma degli italiani esuli dall’Istria e dalla Dalmazia.
Prefazione
Un’integrazione ben riuscita
Da quando ho ricevuto l’onore di ricoprire il ruolo di presidente del Consiglio Comunale di Lucca, nel giugno 2012, una delle attività cui mi sono dedicato con maggiore passione è stata quella di diffondere la memoria dell’esodo dalle proprie terre natali degli italiani dell’Istria e della Dalmazia. Una vicenda ancora poco conosciuta da parte della cittadinanza, ma particolarmente significativa se pensiamo al solo fatto che nel secondo dopoguerra furono un migliaio le persone che raggiunsero la nostra città da quelle terre italiane che furono annesse alla Jugoslavia con la sottoscrizione del Trattato di pace del 1947.
Mancava, tra le varie iniziative messe in campo, una ricerca storica che focalizzasse in modo rigoroso questa vicenda, la sapesse analizzare attraverso lo studio del materiale d’archivio e delle tracce lasciate sulle testate giornalistiche locali dell’epoca, ne quantificasse la portata e la inserisse nel quadro più generale della storia del confine orientale italiano. Una storia particolarmente dolorosa, quest’ultima, e anche in questo caso rimasta per molti anni avvolta nell’oblio, almeno fino all’istituzione del Giorno del Ricordo nel 2004, che ha di fatto favorito la conservazione e il rinnovamento della memoria di una pagina significativa della nostra storia nazionale attraverso le celebrazioni che ogni anno si ripetono intorno al 10 febbraio. Uso volutamente il termine “dolorosa” perché non si lasciava a cuor leggero la città natale che per una vita era stata il teatro della propria esistenza. Ma il dolore, è bene sottolinearlo, non era solo quello delle persone che lasciavano definitivamente le proprie terre di origine, i propri beni, le spoglie dei propri avi. Era anche quello di quanti persero un proprio congiunto negli eccidi perpetrati a danno di militari e civili italiani avvenuti nell’autunno del 1943 e nella primavera del 1945, una violenza di massa che causò la morte di alcune migliaia di persone, i cui corpi senza vita in larga parte vennero gettati nelle foibe.
Promuovendo la pubblicazione del libro di Armando Sestani – complementare, a mio avviso, ad altri importanti lavori di impostazione memorialistica che hanno visto la luce in questi anni – si è voluto colmare quindi una lacuna della nostra storiografia locale. È un dovere per chi amministra l’ente più vicino ai cittadini, valorizzare gli elementi fondamentali della memoria collettiva della propria comunità di riferimento, e la vicenda degli esuli è per noi lucchesi uno di questi elementi basilari. La storia di quanti vennero a Lucca a partire del 1947 si intreccia, infatti, inevitabilmente con la storia della nostra città a partire dal secondo dopoguerra. Una storia di integrazione ben riuscita, è il caso di dirlo, e non era affatto scontato che ciò avvenisse, specie per il particolare contesto nel quale si andava inserendo.
La comunità lucchese in quegli anni doveva affrontare le conseguenze della guerra: avviare la ricostruzione delle infrastrutture distrutte, superare il ricordo delle sofferenze patite nel corso dell’occupazione nazifascista, elaborare il lutto per quanti furono uccisi sui campi di battaglia, provvedere al sostentamento di settori rilevanti della cittadinanza rimasti senza lavoro e privi delle minime risorse con le quali sopravvivere. L’arrivo degli esuli, la loro presenza – numericamente consistente – in città, soprattutto nel Centro di raccolta profughi allestito al Real Collegio e nei locali di via del Crocifisso, probabilmente non erano visti da tutti positivamente. Erano altre persone cui le istituzione locali dovevano provvedere, trovando loro un alloggio, fornendogli pasti quotidiani, aiutandoli a trovare un lavoro. Dall’analisi di cui si dà conto in questo libro emerge come – seppur inizialmente si verificarono casi di contrasti tra la popolazione lucchese e i nuovi arrivati – da subito la solidarietà fu il sentimento che prevalse e che rese possibile l’integrazione.
Ringrazio dunque Armando per il bel lavoro che ha eseguito, documentandosi e trascrivendo gli esiti della sua ricerca, nella speranza che sia un punto di riferimento dal quale in futuro altri possano prendere spunto per ulteriori indagini e approfondimenti.
Il presidente del Consiglio Comunale di Lucca
Matteo Garzella