Signor Vice Prefetto, signor sindaco, signori consiglieri, autorità civili, religiose e militari, signore e signori intervenuti,

oggi la nostra città celebra, nella forma più solenne possibile ovvero attraverso una apposita seduta dell’assemblea cittadina, il settantesimo anniversario della Liberazione di Lucca.

Attraverso gli interventi che seguiranno i saluti della autorità, verrà approfondito il ruolo esercitato nella Liberazione di Lucca da parte degli alleati e dei partigiani. Verrà inoltre approfondito l’operato della Chiesa di Lucca nei mesi dell’occupazione nazifascista in favore dei profughi, degli sfollati, dei rastrellati e dei perseguitati di ogni credo religioso e colore politico. L’Arcidiocesi, i partigiani e gli alleati, questi ultimi oggi rappresentati in questo Consiglio dal reduce della divisione di fanteria “Buffalo” Ivan Houston, verranno omaggiati per il contributo da loro offerto, al termine della seduta, attraverso il conferimento di pergamene celebrative.

Nel mio intervento introduttivo vorrei invece soffermarmi su ciò che avvenne dopo la Liberazione, sulle condizioni nelle quali versava la popolazione, sugli interventi da effettuare sul territorio per cancellare i segni distruttivi della guerra e, più in generale, sul clima di speranza per l’avvio di un nuovo corso di democrazia e di pace. Vorrei insieme a voi rivivere una delle pagine più significative della nostra istituzione comunale, cioè lo svolgimento della prima seduta del Consiglio Comunale dopo la Liberazione.

Siamo nel 1946, il giorno 24 aprile, in questa aula consiliare, allo stesso orario nel quale oggi stiamo svolgendo questa seduta celebrativa. Per circa 20 mesi, dal settembre 1944 all’aprile 1946 il governo cittadino è stato gestito da una giunta nominata dal Comitato di Liberazione Nazionale, nella quale erano rappresentate tutte le componenti della comunità lucchese, tra cui i partiti antifascisti, la diocesi, la comunità ebraica.

Dobbiamo immaginare la sala in cui ci troviamo oggi gremita in ogni suo angolo dalla presenza di tanti cittadini che vollero presenziare a quella seduta consiliare storica. Pensiamo solo al fatto che da 20 anni, cioè dal 9 ottobre 1926 quando fu celebrata l’ultima adunanza dell’assemblea prima del suo scioglimento, il Consiglio comunale non si riuniva. Quella seduta consiliare rappresentava un ritorno, seppur non facile, alla normalità, alla libertà in tutti i suoi connotati, alla democrazia e alla pace.

Nei banchi dei consiglieri sono seduti i quaranta rappresentanti della comunità locale, appena eletti nel corso delle consultazioni del 7 aprile. Immaginiamo l’entusiasmo per l’avvio di un nuovo ciclo politico-istituzionale democratico che doveva in qualche modo caratterizzare quella seduta del Consiglio comunale e il conseguente stato d’animo di quei consiglieri appena eletti.

L’emozione che doveva circolare in città e in quest’aula in quel 24 aprile non era solamente scaturita dal ritorno alla democrazia. Era sicuramente vivo il ricordo e il dolore in particolare dei fatti che caratterizzarono i mesi del 1944 che precedettero, e in alcuni casi seguirono di poco, la Liberazione. Molti di questi avvenimenti sono stati commemorati, o lo saranno prossimamente, nel corso del calendario delle celebrazioni per il settantesimo della Liberazione.

Il 6 gennaio 1944 una formazione di ventidue aerei americani bombardarono la stazione ferroviaria di Lucca e l’adiacente quartiere di San Concordio. Vennero colpiti i binari, le Officine Meccaniche Lenzi e numerose abitazioni. I morti furono ventiquattro, alcuni dei quali sul colpo, altri nei giorni successivi a seguito delle ferite riportate nel raid. Di fatto il bombardamento alla stazione “porta” la guerra sul territorio lucchese, avviando una stagione di stragi e di uccisioni da parte degli occupanti nazisti.

Il 30 giugno muore il partigiano Roberto Bartolozzi, dopo essere stato falcidiato da colpi di mitra e lasciato morente, a monito per la cittadinanza, in piazza San Quirico. Il 26 luglio a Monte San Quirico e Sant’Alessio furono rastrellati 2 carabinieri e 5 civili, uccisi a Pioppetti il giorno successivo. Il 4 agosto viene ucciso don Aldo Mei sotto gli spalti delle Mura a Porta Elisa. Sempre nell’agosto i militari della XVI Panzergrenadier Division “Reichsführer”, dopo aver requisito l’edificio della scuola elementare di Nozzano, vi recludono centinaia di donne e uomini, molti dei quali, dopo essere stati torturati, vengono uccisi nelle località limitrofe. Il 10 settembre ha luogo la strage della Certosa di Farneta nella quale vengono uccise 37 persone tra religiosi e civili.

Sono questi alcuni degli anelli della catena di sangue che segnò tragicamente l’estate del 1944, il cui ricordo doveva sicuramente essere ancora vivo nella memoria di quei consiglieri comunali e di quei cittadini lucchesi che pochi mesi più tardi si ritrovarono in questa aula per celebrare la seduta di insediamento del Consiglio comunale.

In quella seduta, tra i banchi assegnati ai gruppi di sinistra, siede Gino Baldassarri, mentre nel seggio dove io mi trovo, oggi assegnato al presidente del Consiglio, è presente Ferdinando Martini. Comunista il primo, democristiano il secondo. Baldassarri ha appena terminato la sua attività amministrativa quale sindaco della giunta nominata dal CLN, Martini, che presiede la seduta nelle vesti di consigliere anziano, da lì a poco sarebbe stato eletto sindaco della città. Due personalità diverse, separate dalla condivisione di valori e ideologie allora inconciliabili, ma che condividevano anche lo stesso spirito di servizio nei confronti della comunità lucchese e dalla stessa avversione al regime fascista e ad ogni forma di sopraffazione. Nonostante le varie diversità di vedute, i due erano anche uniti da un grande rispetto reciproco e da una sincera amicizia. Proprio quel rispetto istituzionale e quella amicizia che troppo spesso, ai nostri giorni, sembrano essere atteggiamenti inconciliabili con la politica, ed è anche in ragione di questa impostazione che Baldassarri e Martini davano al loro ruolo politico-istuzionale, che possiamo considerarli quali punti di riferimento per chi ha l’onore di governare il nostro Comune oggi.

Sono gli unici ad intervenire nel Consiglio Comunale del 24 aprile. È attraverso le loro parole che vorrei analizzare, seppur per sommi capi, ciò che avvenne dopo il 5 settembre 1944.

Baldassarri traccia un quadro catastrofico delle infrastrutture presenti sul nostro territorio. Dice infatti: «tutti gli impianti essenziali per la popolazione, fra cui in modo preminente quello dell’approvvigionamento dell’acqua potabile erano stati resi inservibili o inefficienti; tutta la rete stradale interrotta; le scuole, i cimiteri, tutti i vari edifici comunali sia in campagna che in città risultavano più o meno gravemente danneggiati ma comunque inservibili all’uso». Anche in una simile situazione di emergenza la giunta del CLN pensa a rendere omaggio a quanti scelsero di battersi per la libertà, unitamente ad una prima rimozione di quei simboli fascisti dai monumenti cittadini che rappresentavano gli ideali di un regime per anni osteggiato e combattuto, e che richiamavano al dolore da esso creato. Continua Baldassarri: «nel progetto generale di ampliamento del cimitero urbano è stato incluso quello del Mausoleo in memoria dei caduti per la Libertà, […] la cui spesa relativa verrà sostenuta dall’Anpi ed il Comune cederà i marmi ricavati dalle demolizioni già effettuate dai monumenti fascisti».

Nel discorso di insediamento di Ferdinando Martini traspare con tutta evidenza la sua emozione a trovarsi in questa sede quale rappresentante eletto dei cittadini lucchesi. Tale emozione scaturisce anche dalla sua personale vicenda storica. «Rientro in questa aula consiliare» così esordisce «dopo 23 anni da quando ne fui scacciato via dalla violenza fascista, unitamente ad altri colleghi del Consiglio Comunale, in maggioranza di parte popolare». Martini, come del resto altri due tra i nuovi quaranta consiglieri, ovvero Giuseppe Giannini e Filippo Gemignani, nel 1923 sedeva già tra i banchi del Consiglio ma, così come avvenne un po’ in tutta Italia, prima del 1926 e quindi dell’entrata in vigore del sistema podestarile che sopprimeva le assemblee cittadine, i fascisti impedirono ai consiglieri di altre forze politiche di poter esercitare il proprio mandato elettivo.

Il ritorno alla vita democratica è sottolineato da Martini nel luogo del suo discorso in cui saluta la nuova assise quale «assemblea finalmente eletta in regime di libertà dal popolo sovrano» e plaude alla cittadinanza lucchese per aver esercitato il proprio diritto-dovere di recarsi alle urne, un esercizio democratico che noi trattiamo con troppa sufficienza, ma che evidentemente, per un italiano di settanta anni fa, doveva apparire un fatto che non doveva essere dato per scontato dopo un ventennio di dittatura. Martini parla di «una prova di educazione e disciplina che gli fa tanto onore» – riferendosi appunto alla cittadinanza – «e che sembrava quasi impossibile sperare dopo tanti anni di servilismo e di disabitudine ai liberi sistemi democratici».

La popolazione lucchese dell’immediato dopoguerra era in ginocchio. Il tasso di disoccupazione e di povertà raggiungeva livelli spaventosi. La cittadinanza, che idealmente si era riunita in questa aula consiliare in quel 24 aprile 1946, guardava con fiducia al nuovo corso democratico, speranzosa di trovare un sollievo che potesse proiettarla verso un futuro di tranquillità. E una delle sfide che la nuova amministrazione comunale sarebbe stata chiamata ad affrontare, consisteva nel risolvere la crisi sociale esistente. Martini guarda in particolare a quei giovani lucchesi che, nelle formazioni partigiane o nelle forze armate – oggi abbiamo ricordato il contributo alla liberazione del paracadutista Giuseppe Martinelli e pochi giorni fa quello del tenente di vascello Anselmo Marchi, che entrambi purtroppo non fecero ritorno a casa – seppero dare prova di valore in difesa dalla patria occupata dai nazisti e che, rientrati a Lucca, furono costretti ad affrontare grandi difficoltà. E più in generale a tutti coloro che subirono la violenza della guerra e della violazione di ogni libertà. Uno dei primi impegni del Comune sarebbe stato quello di pianificare politiche finalizzate – afferma Martini – a «sistemare tanta povera giovinezza logorata ed invecchiata innanzi tempo o per le dure fatiche sui campi di battaglia come soldati o come partigiani, o per gli stenti, le sevizie, le angherie e le torture patite nei campi di concentramento come prigionieri di guerra, come deportati, come perseguitati politici che sono tornati nelle loro case e non hanno trovato che della miseria e molte volte della incomprensione se non della ingratitudine».

Dobbiamo pensare che i nostri concittadini riuniti a Palazzo Santini in quel 24 aprile, ogni giorno assistevano a scene strazianti in cui masse di persone si ritrovavano in piazza de’ Servi presso la sede dell’ECA, l’ente comunale di assistenza, per ottenere qualcosa da mangiare per loro e per le proprie famiglie. «Che strazio» – continua Martini – «prova l’animo mio quando alle porte dell’Ente comunale di assistenza vedo colonne interminabili di giovanotti che attendono, fino dalle prime ore del mattino, per lunghe mezze giornate il loro turno per ricevere un sussidio che mentre li umilia e li offende, specialmente quelli che hanno maggiore il senso della propria dignità, è sempre insufficiente ai loro più semplici ed elementari bisogni».

La Liberazione significava tornare ad una convivenza civile incentrata sulle tante libertà che noi oggi non facciamo fatica a definire quali diritti acquisiti, ma che allora così non dovevano essere, dopo che per troppi anni erano state violate. E soprattutto significava tornare ad un tempo di pace, dopo cinque lunghi anni di guerra. Pensiamo allora, sempre ai nostri concittadini del tempo che finalmente potevano liberamente esprimere il proprio pensiero, riunirsi in associazione con altre persone che condividevano i medesimi ideali, leggere un giornale senza che fosse passato dal vaglio della censura, manifestare pubblicamente il dissenso verso i propri governanti. Quegli uomini e quelle donne non dovevano più aspettare una lettera dal fronte da parte di un proprio congiunto con la speranza di ricevere notizie rassicuranti, angosciarsi per la sorte toccata a una persona cara deportata nei campi di lavoro o impegnata in qualche formazione partigiana. «Noi vorremmo vedere appianati tutti i dissensi e tutte le ragioni di contrasto» – continua Martini – «e vedere tornare a risplendere nella nostra città e nel nostro comune la pace, la vera pace delle coscienze che è frutto del proprio dovere in ogni campo compiuto». Un auspicio, anche questo, che non appariva per niente scontato, vista l’azione nefasta che operò il regime fascista prima e la guerra poi sulle coscienze: Martini chiude affermando che «purtroppo tanti incitamenti all’odio, alla violenza predicati per tanti anni di dittatura e in cinque anni di guerra, hanno dato i loro frutti amari e hanno alterato tante intelligenze e tante coscienze a tal punto che molti non sono riusciti né riescono a guarire nemmeno ora».

Con questo auspicio di pace, che rinnovo per i tempi odierni, chiudo il mio intervento, ringraziando tutti coloro che oggi hanno colto l’invito ad assistere a questa celebrazione. In particolare vorrei sottolineare la presenza di tanti rappresentanti degli enti locali del territorio provinciale, che hanno voluto essere presenti con i propri simboli per commemorare la Liberazione della città di Lucca, da cui partì la Liberazione degli atri territori della Lucchesia.

Il presidente del Consiglio comunale

Matteo Garzella

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